lunedì 11 luglio 2011

Arca emiliana

Questa mattina, grazie a un amico su Facebook, ho riascoltato dopo tanto tempo gli Offlaga Disco Pax, immergendomi nella malinconia disperata di quella musica, arrivata con qualche anno d'anticipo sulla moda nostalgica anni '80 e declinata secondo una visione del mondo antistorica (come si può essere nostalgici del comunismo brezneviano?) e puramente emotiva. Non so perché ne parlo qui, in fondo non ho particolari motivi per farlo, se non che questa mattina mi sono perso tra Venti minuti, Tatranky o Cioccolata I.A.C.P. (ma in fondo a questo servono i blog, no, a rivelare i cazzi propri e far sapere che musica ascoltiamo...), però forse uno c'è, ed è legato a quella nostalgia mediale di cui si parla tanto in questi anni e di cui ho scritto qui qualche giorno fa. Ecco, per quanto solipsistico e assolutorio possa sembrare, il discorso degli Offlaga Disco Pax mi sembra più interessante di tanti altri fondati sul vintage culturale e mediatico, un modo tutto italiano, non filtrato dal cinema o dalla tv, di affermare un legame nostalgico con il passato perduto e per sempre alterato. Una forma critica di nostalgia, rossa e bassopadana, che usa modelli da American Graffiti, ma senza indugiare in modo del tutto gratuito sullo stesso - e abusatissimo - senso di perdita dell'innocenza. Noi italiani, purtroppo, non possiamo essere nostalgici di un'età dell'oro smarrita, non abbiamo nessun albero della vita da ricercare o semedimela da dissotterare. Abbiamo piuttosto un'alterità da riaffermare, una testimonianza di esistenza alternativa a quella affermatisi negli ultimi 25 anni e sopravvisuta al divenire storico: questo dovrebbe essere il nostro materiale da mitologizzare. E questo fanno gli Offlaga con la loro nostalgia ridicola, tra busti di Lenin e rimpianto dell'immobilismo da politburo.

Non me ne frega niente, in fondo, di sapere quanto si fosse comunisti a Reggio Emilia negli anni '80, e nemmeno quanto Max Collini rimpianga - se li rimpiange - quegli anni. Mi frega invece di qualcuno che racconti di come eravamo veramente nei campetti e nei centri sociali (o parrocchiali), di come noi italiani proviamo rancore o affetto verso i nostri padri, di come abbiamo costruito un'immagine reale di una vita italiana non modellata sui film di Spielberg, sulle fantasie brookliniane di Woody Allen o su quello che la tv ci faceva immaginare di essere. A tutti sarebbe piaciuto crescere tra i panni stessi sui fili e i vicoli tra la sopraelevata di Coney Island: eppure c'è chi è nato a Reggio (o in qualsiasi altro caseggiato d'edilizia popolare in Italia) e che ora, se racconta quello che ha vissuto negli anni '80 - non troppo diverso da quello che ho vissuto io -, lo fa con una freddezza e una verità che dal repertorio della nostalgia mediale sono completamente escluse, rievocando situazioni, odori, sensazioni, pensieri, diventati inutili perché completamente slegati dal presente.

Così, la musica degli Offlaga Disco Pax, più che la celebrazione di un ricordo, mi sembra la riscoperta di qualcosa che sapevo ma ho dimenticato, uno sguardo dal ponte su un mondo di cui non abbiamo mai avuto coscienza e che ora galleggia nel nulla. Per questo mi sembra devastante e sincera; non bellissima, forse, ma utile, anzi utilissima.

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