venerdì 3 giugno 2011
Archeologia visiva
Chissà se anche stavolta faranno il processo ai calciatori. Come tanti anni fa, nel 1980, quando nelle aule di tribunale, sulla scalinata degli imputati, al posto dei brigatisti o dei mafiosi ci misero i campioni della Serie A, tra cui - vado a memoria - pure Bruno Giordano e Paolo Rossi. Quelle immagini le ho riviste passare in tv in questi giorni, con il loro straziante color semolino, con i giocatori a testa bassa e l'immagine televisiva non ancora consapevole come oggi e capace di mettere a nudo il re con la propria incurante innocenza. Lo sappiamo tutti che tra oggi e allora di differenza ce n'è poca: in entrambi i casi si tratta di truffa da parte di persone troppo impegnate a diventare ricche per accorgersi di diventare troppo ricche. Ma rispetto al 1980 l'immagine è molto meno innocente, di giocatori alla sbarra, stiamone pure certi non ne vedremo, mentre quasi sicuramente assisteremo alla difesa televisiva di qualche accusato, magari in un'intervista doppia delle Iene. Allora, durante i processi per il primo drammatico caso di calcio scommesse in Italia, la tv era lì per documentare; oggi invece è utilizzata come strumento di difesa per i potenti, troppo invasiva per raccontare il mondo in diretta e troppo realistica per coglierne l'essenza. La cosa mi ha fatto pensare al recente The Fighter, un film sportivo come a Hollywood sanno fare in cui David O'Russel ce l'ha messa tutta a ricostruire con il digitale l'allure selvaggio del repertorio visivo anni '70 - un insieme irripetibile di sciatteria marroncina e sguardo dal vivo sulla Storia. E l'ha fatto benissimo, dando vita a una specie di archeologia mitica dell'immagine, cogliendo l'effimera bellezza dello sport immerso nell'oblio e soprattutto, come già Zodiac di Fincher, l'infinita distanza che separa il presente dell'immagine dal proprio recente e irrecuperabile passato.
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