domenica 3 aprile 2011

Poetry

E' una bella notizia che un film come Poetry sia arrivato nelle sale italiane e che, nei limiti del film d'autore complesso, abbia pure goduto di una discreta pubblicità. Poetry è il classico film che nei festival raccoglie consensi, entusiasmi, discussioni che ti fanno credere per un attimo che il cinema sia qualcosa di importante, fondamentale anzi, e poi quando capita che arrivi nelle sale quasi nessuno lo nota, lasciando alla propria deriva da Atalante il mondo della critica. Venendo al film, copia-incollando quello che scrissi da Cannes, Poetry è un vero schiaffo morale, un racconto spietato che parla di memoria e responsabilità, di bellezza e fallimento, ambiguo perché racchiuso nella mente disturbata dall'Alzheimer di un'anziana signora coreana. Il tema è fortissimo e cozza volutamente con la messinscena naturalista e luminosa, pronta al tempo stesso a fare del buio il vero sfondo della sua realtà. Poi, forse, è troppo lungo, non sempre controllato, volutamente scioccante nella sua normalità, ma si interroga sui limiti dell'orrore nella società degli uomini, gettando in faccia allo spettatore l'insieme di ipocrisie che si dipanano nel nome della stabilità. Il precedente lavoro di Lee Chandong, Secret Sunshine, era secondo me più provocatorio e paradossale: ricordo che al termine della proiezione festivaliera in cui lo vidi ebbi pure una lunga discussione con un amico. Poi il film non arrivò mai nelle sale e ora, chissà, lo si può comprare in dvd su qualche sito straniero, ché in Italia, vabbe', se si parla di religione cattolica in un modo non proprio ortodosso (e Secret Sunshine lo faceva) la censura preventiva funziona eccome...

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