I ragazzi stanno bene è una commedia hollywoodiana che si è meritata l'attenzione dei media di tutto il mondo, compresi quelli che di cinema non parlano mai, se non quando l'argomento stuzzica il presunto senso del pudore del presunto pubblico medio, perché parla di amore lesbico. Perché le due attrici protagoniste sono donne eterosessuali amate trasversalmente da uomini e donne, gay e straight, e perché in un'ora e mezza di noia mortale (e per una commedia è come condannarla a morte, dirle che è tempo e denaro e lavoro e sbattimento sprecato) azzecca una battuta una, o meglio una scena, di sesso naturalmente, di quelle che all'uscita racconti all'amico e magari a distanza di anni ti ricordi ancora, ma che non salvano il film dalla sensazione pelosa di fallimento e conservatorismo che espande soprattutto quando la storia comincia a sciogliere i nodi. Il tema è la famiglia, ovvio, bella e da salvare anche se sbilenca e invisa alle gerarchie, una famiglia formata da due donne lesbiche e dai loro figli avuti grazie a un donatore esterno, una famiglia diversa ma naturalmente uguale a tutte le altre, in cui si litiga e si piange specie se ci sono degli adolescenti, in cui ci si tradisce e si perde la bussola, salvo poi ritrovare la strada e lasciare che sia il tempo e non il caso o il libero arbitrio o la sfortuna, la vita insomma, a cambiare le cose.
Certo, la commedia americana ha sempre raccontato la rottura di un equilibrio e il progressivo riordinarsi del mondo, ma di solito c'erano il ritmo, la verve, il cazzeggio puro, quando non un senso universale delle azioni umane che rendeva simili a noi, modelli di noi tutti, i riccastri dell'alta società di Philadelphia o i gangster con le pene d'amore. Qui invece siamo a un livello che si crede superiore perché diverso e si fa bastare questa consapevolezza per recitare una litania stanca su una presunta immagine di modernità.
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