martedì 8 febbraio 2011
Stranded Horse, Humbling Tides
Questa mattina, grazie al preziosissimo programma di Radiotre Alza il volume, che ascolto appena posso, visto che va in onda a un'ora un po' peregrina (due e mezza del pomeriggio), ho scoperto un musicista francese di tutto rispetto, tale Stranded Horse, vale a dire Yann Tambour. Suona la chitarra e uno strumento africano chiamato kora (che si è costruito lui stesso ed è un po' più piccolo rispetto a quelli originali), è di origini normanne ma gli piace la musica del Mediterraneo e dell'Africa nera, mescola influenze sonore e soprattutto emotive, canta in inglese e in francese e ad ascoltarlo uno capisce cosa non è la musica new age, perché quando certi pezzi soffusi e d'ambientazione, magari a un primo ascolto un po' vacui, sanno invece essere così pieni e complessi, ché quasi ci senti gli Smiths nella ripresa di canti medievali e madrigali antichi, allora ti accorgi che la musica etnica non la sanno solo produrre alla Real World, ma pure certi musicisti che trasformano in materia pura diverse koinè musicali, senza per questo essere dei reclusi che suonano strumenti in voga nelle corti cinquecentesche delle province dell'Oman, che solo in sei sanno ancora suonare e sono tutti morti, o dei cultori del terzomondismo per cui un bongo vale più di una viola perché è un suono della terra. Ecco, Humbling Tides, il nuovo album di Stranded Horse uscito da poco, sa essere europeo e indie come africano e ancestrale: una canzone come Shields, ad esempio, dove suona anche il grande musicista africano Ballaké Sissoko, è il miglior spot che gli si possa fare.
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