L'altro giorno, in uno dei programmi più ignobili e seguiti della storia della televisione, questo, Barbra Streisand e Robert Redford si sono incontrati pubblicamente per la prima volta, a 37 anni di distanza dal loro unico film insieme, Come eravamo di Sydney Pollack. Una carrambata solenne, e pure combinatissima, che ha avuto però il pregio di riportare la mente a un grandissimo film diventato fondamentale per diverse ragioni. Perché allora, nel 1973, era il simbolo di una New Hollywood che guardava con amore a un passato recente ma distante anni luce; perché era il prodotto di una cultura liberal appassionata ma sconfitta (inizia con Roosevelt, passa al maccartismo e arriva alle battaglie civili degli anni '60); perché elevava l'amore impossibile a solenne visione del mondo, con il titolo del film e la canzone omonima che da allora sono diventati patrimonio comune, espressione di tutto ciò che di dolce e malinconico ci lega ai ricordi. Soprattutto, però, grazie a quel grandissimo direttore di attori che era Pollack, Come eravamo rappresenta il cinema americano al suo massimo e sottile fulgore, confluenza di professionalità e genio, sussurro e didascalia, emozione e pacchianeria, tutto nel contrario di tutto insomma: come in fondo un amore impossibile, che promette felicità ma per definizione non sa contenerla.
Gli ultimi minuti del film, quelli che si vedono qui, con le dissolvenze su New York e lo sguardo realistico immerso nella città del sogno, sono i più belli, non c'è neanche da dirlo: nell'espressione di Redford quando chiede della figlia che non vedrà mai, nel gesto della Streisand che sfiora il volto dell'uomo che amerà sempre, attraverso la bravura dei due interpreti passa il sentimento di una vita intera. La loro e la nostra. Questo sanno fare, quei maledetti manipolatori di immagini ed emozioni, e per questo continueranno a farlo per altri mille anni.
Katie: I am a very good loser.
Hubbel: Better than I.
Nessun commento:
Posta un commento