venerdì 1 ottobre 2010

Santi e alieni

"Com'è possibile camminare sui prati verdi e avere l'animo triste? Essere immersi nel caldo del sole mentre tutto intorno sorride e avere l'angoscia nel cuore? Lasciate a noi le nostre tristezza. A noi che non possiamo andare nei prati e non vediamo mai il sole". Sono le parole che chiudono La pecora nera di Ascanio Celestini, uscito oggi nelle sale dopo l'anteprima a Venezia. E' un film bello forse per caso, perché Celestini nella vita non fa cinema (e si vede), ma proprio per questo gli riesce di lasciar libere la sceneggiatura e la struttura e far sì che l'ansia e la bellezza della sua scrittura e della sua recitazione, centrare sulla ripetizione di parole e figure, influenzino anche il film. La chiave, a parte nella capacità di creare un luogo sacro, il manicomio, senza indugiare sulla retorica della bellezza della malattia, sta nella forza di una trama che si costruisce sull'immaginazione imballata dell'attore romano, con la follia che inizialmente sembra qualcosa di esterno, ma poi prende il possesso, ribalta la posizione dello spettatore rispetto ai personaggi, e costringe a reintreprere tutto.

Il paradosso, che nei monologhi di Celestini regge giri di frase infiniti, anche qui regge un intero film, dove la prigione è un altro mondo, non una negazione di esso, e dove il matto è un alieno o un santo (nella locandina qui sopra sembrano tutti personaggi di un affresco medievale), non perché più intelligente dei normali, ma perché dotato di un sistema di pensiero più limitato, traumatizzato, dunque già condizionato e libero.

E' profonda la riflessione di Celestini sulla follia, merita attenzione, soprattutto perché nella libertà con cui cerca una forma nuova per la sua immaginazione teatrale già rodata, trova un imprevisto respiro cinematografico libero da costrizioni formali e narrative.

Insomma, che dire: se potete permettervelo andatelo a vedere. Se invece abitate in una città come la mia, dove il film arriverà solo tra qualche mese nei cineforum, prendete un treno o fatevelo raccontare.

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