Oggi esce Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti di Apichatpong Weeresethakul (solo con titolo e regista si occupa mezzo post), il film che ha vinto meritatamente la Palma d'oro a Cannes lo scorso maggio. Uso il grassetto per sottolineare il fatto che il premio fosse meritato soprattutto in quel tipo di festival, dove il film emergeva come una boccata d'aria in un mare preoccupantemente vecchio e stantio. Per chi già conosce il cinema di Weeresethakul, la sua nuova opera non sorprenderà attese e previsioni, semplicemente va a chiudere nel migliore dei modi un progetto dedicato alla memoria dello zio Boonmee, al suo legame con il mondo animale e naturale nella foresta malese. Ma per chi invece non fosse troppo pratico del cinema d'autore, con Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti potrebbe trovare esattamente la realizzazione di tutti i suoi incubi: ritmi catatonici, presenze misteriose, silenzi prolungati. Eppure potrebbe essere sorpreso, conquistato, ammaliato.
Per l'ironia evidente del regista (lui e i suoi scimmioni dagli occhi di brace, lui e i suoi pesci parlanti che praticano il cunnilingus...), per l'intelligenza con cui afferma la sua visione del mondo con tono minore e leggero, per come in modo naturale, gentile, assolutamente divertito, parla di argomenti come metempsicosi, morte, rinascita, malattia, affetto.
Il suo è un film che cammina negli spazi che agli uomini sono vietati, quelli che stanno tra l'aldilà e il limbo; non lo fa correndo, non lo fa ponendosi troppe domande, ma guardando stupito e rasserenato il mondo, immerso nel magico che circonda l'uomo e al fondo dei pensieri che lo ricollegano al passato e alle radici della sua terra.
Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti è un piccolo capolavoro: basta avere la pazienza e la curiosità di starlo a guardare.
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