mercoledì 21 luglio 2010

Racconti di fine carriera

 
Venerdì esce nelle sale The Box di Richard Kelly, da un racconto di Richard Matheson. In America è uscito da un po' e il fatto che i distributori l'abbiano buttato nella sale in questo periodo, quando è difficile trovare una sala aperta, la dice lunga sul suo successo. E' vero che ora cercano di spalmare la stagione lungo tutto l'anno, ma The Box, che i listini annunciano già mesi fa, resta un mezzo flop. Un po' la cosa dispiace e fa riflettere sul destino dei registi nel sistema hollywoodiano: Richard Kelly è quello di Donnie Darko e anni fa sembrava una stella del cinema fighetto d'autore. Peccato che si è montato la testa e nel 2006 ha girato un filma che gli ha rovinato la carriera: Southland Tales, che è forse la più clamorosa manifestazione di spreco di talento mai vista al cinema.

Eppure il fim non è altro che l'elaborazione (o se vogliamo l'esagerazione) di certe idee di fantascienza ed evoluzione scientifica già presenti nel film precedente. Solo che quell'altro ha avuto successo e questo no. E quando Hollywood non capisce, capisce solo di soldi. Se quelli non arrivano, non arriva neanche il perdono.

Southland Tales è un film attualissimo, il turbine dell'eterno presente, dipinge il futuro come una mancanza e il passato come una perdita di cui nessuno se ne è accorto: per quello che è, è un film importante. Ma per come è, è un film a tratti insulso.

The Box risente forse della batosta che Kelly ha preso, ha un tono mesto, rassegnato. La storia - che non rivelo - è curiosa, è una tipica traccia da fantascienza urbana americana. Non è un gran film, al contrario di Southland Tales (o forse proprio per colpa di Southland Tales) manca di ambizione, vorrebbe essere ma non può. Ha però almeno una scena bellissima, quella in cui il protagonista viaggia da una dimensione all'altra e si ritrova in soffitto pieno d'acqua che sfida la legge di gravità.

Dopo i flussi stomacali linquidi che in Donnie Darko univano gli uomini alla dimensione dell'universo non-cartesiano, Kelly conferma di saperci fare con l'antimateria. Quello che non sa tanto maneggiate è la materia narrativa, ed è un peccato perché il cinema sembra averlo nel sangue. Forse avrebbe bisogno di una trasfusione.

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