Ieri ho rivisto in tv Cape Fear di Scorsese e ho potuto così alimentare la mia ossessione sul più grande regista vivente. L'avevo già visto mille volte, ma l'ho trovato ancora strepitoso. Con Mystic River e Velluto blu è il film per eccellenza sull'America contemporanea, un incubo simbolico costruito a partire dal cinema classico e non sul suo stampo, come Shutter Island. Per la prima volta, però, mi sono anche accorto che è di quasi vent'anni fa e che le sue immagini, che per me sono sempre state attualissime, hanno un'aria vintage, un'estraneità influenzata da mode che impongono abitudini anche allo sguardo. C'è un filtro opaco, un ritmo troppo dilatato o troppo accorciato che mi ha fatto sentire la distanza.
Cosa che, per esempio, non c'è in capolavori come Quei bravi ragazzi, Fuori orario o Lezioni di vero (episodio di New York Stories), che se li guardi oggi sembrano girati ieri pomeriggio. E forse questo è dovuto al fatto che Cape Fear, prima di Shutter Island, era l'unico film di genere di Scorsese, la sua immersione negli schemi del cinema classico.
Quindi è la confezione, la struttura, che Scorsese nel film si impone e al tempo stesso supera, a lasciare i segni del tempo. Mentre il suo stile, quello non passerà mai. Anzi, è ancora lo stile più potente, perforante, avvolgente, lacerante che il cinema sia riuscito a inventare. Un'unione così intensa di violenza, movimento, rottura, dolore, attrazione e repulsione, nessuno è ancora riuscita a raggiungerla.
Lynch si è inventato un mondo, Coppola il suo mondo interiore lo ha fatto esplodere sullo schermo, mentre Scorsese ha sempre usato il cinema come un territorio comune, uno spazio aperto a tutti, che tutti possono amare e capire, per rinegoziare il nostro rapporto con il male, il denaro, la paura. I suoi film sono oggetti a disposizione di tutti, visioni personali che lo sguardo trasforma in collettive.
Per questo mi è sempre sembrato un passo oltre qualsiasi altro grandissimo regista venuto fuori dagli anni '70.
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