Ho ripensato al film di Kiarostami e forse non e' cosi' brutto come ho scritto ieri. Di certo continuo a pensare che non mi sia piaciuto, ma in realta' e' un'operazione perfettamente in linea con il suo cinema, una riflessione tutta di testa sul rapporto tra idea e immagine, pensiero e riproduzione. Il fatto poi che sia girato in Toscana, per quanto sia il trionfo del fighettume intellettuale straniero in Italia, ha una sua logica, perche' riporta l'immagine cinematografica alla prospettiva rinascimentale della pittura e della fotografia.
Insomma, Kiarostami resta un grande intellettuale, uno che sa riflettere sull'immagine come pochi altri (qui c'erano De Oliveira e Godard). Ma a me sembra che nelle sue immagini ci sia solo piu' pensiero, cerebralita', mentre in un regista come Frammartino, che qui ha portato il suo Le quattro volte, lo sguardo si fa perspiace e stupefatto, capace di emozionarsi e divertirsi. Se un difetto il suo film ce l'ha, e' che ricerca con fin troppa insistenza l'epifania del reale, quasi fosse troppo costruito, ma per il resto e' un'esaltazione esaltante (scusate lo scontro di parole) del potere dello sguardo, della sua attesa. E la conferma che a volte la pazienza del regista, che ci ha messo un sacco a girare il film, e soprattutto dello spettatore (un'ora e mezza senza dialoghi che vola via) possono venire ricompensate.
Visto che in questi giorni la pazienza non è tra le virtù che mi contraddistinguono, direi che non vedo l'ora di perdermelo...
RispondiElimina