martedì 30 marzo 2010

La pesantezza del sangue

Fino a ora ho parlato solo di quello che ascolto. Mai di quello che ho visto. Poi oggi pensavo a Shutter Island e a quello che mi ha detto mio fratello: perché fare un film così pesante, così sanguinante e sporco di cenere, così solido e, purtroppo, rigido? Ha ragione mio fratello. Shutter Island è fuori dal tempo, lontano da ogni idea che vagamente informi oggi l'arte contemporanea.
E siccome Scorsese non è impazzito, qualcosa deve esserci. Qualcosa che riguarda lui come autore e il cinema come espressione.

Allora ho pensato a Nemico pubblico di Michael Mann, in cui, al contrario, le immagini sono leggere, bianche, nitide nella luce, fosche nell'oscurità. Shutter Island dà un senso di morte, Nemico pubblico ha una voce nuova. Uno è citazionista, l'altro usa il passato per inventarsi un possibile futuro. Uno usa la pellicola, l'altro il digitale. Ed è qui lo stacco, la differenza.
Quello di Scorsese è un cinema diventato vecchio perché si ostina a usare la pellicola come mezzo espressivo. Perché Scorsese vuole resistere: resistere al nitore del digitale, all'immaterialità dei pixel, affermando con voce tonante che la pellicola ha ancora un valore, che gli effetti speciali sono sporchi come la carne che alterano, non lucidi come il cielo di Peter Jackson.
Nemico pubblico nasce dalla stessa esigenza di ribadire il senso estetico del cinema come racconto morale: ma quel senso lo cerca un passo oltre l'ostacolo. Con il digitale crea uno spazio che è immateriale ed eternamente presente, un luogo assoluto che dura il tempo di un'inquadratura e poi si trasforma in qualcos'altro.
A più di un mese dalla visione di Shutter Island, ho però finalmente capito perché Scorsese l'ha fatto così grondante di sangue e memoria: per ribadire di credere in un cinema che non esiste già più. Un cinema che non riesce a rinnovare e che dunque ripeterà all'infinito. Diversamente da Coppola e Lynch, che si sono reinventati perdendosi nelle proprie ossessioni, Scorsese non aveva scelta: conosce troppo il cinema, ha troppo influenzato le forme del linguaggio commerciale per non scegliere di scavare ancora nell'immaginario che da sempre gli appartiene ed evitare così di cercare altrove una luce nuova.

8 commenti:

  1. ciao
    stavo cercando di aggiungerti ai preferiti del mio blog,
    ma non sta funzionando.
    però sappi che ti ho di nuovo visitato e stai diventando la mia fonte cinemusicale preferita.
    a patto che non tiri fuori il melodramma ha ha!

    anche se poi il racconto cinemusicale non è forse un melo-dramma?


    www.giantropomorfo.splinder.com

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  2. Un po' di polemica, se non che stiamo qui a fare?
    e da quando scorsese non è grondante di sangue e memoria, solido e compatto, scuro e notturno, immerso nella carne? Lo è stato da sempre e nei suoi risultati più straordinari (da Mean Streets a Taxi Driver, da Toro Scatenato all'Ultima tentazione, dai Bravi Ragazzi a Gangs). E che c'entra Michael Mann e il digitale? Secondo me qui siamo di fronte semplicemente a un qualcosa di non riuscito. Mann porta avanti un suo discorso anche visivo in cui una limpida nitidezza nasconde tensioni e violenza, scorsese all'opposto, sporca e scurisce. Da qui l'uso o il non uso del digitale. A cui comunque non darei tutta questa importanza: è semplicemente un mezzo come un altro per esprimere una poetica che di fatto non mi pare cambiata.

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  3. Ottimo Gu, come ai bei vecchi tempi!
    Potrei dire che sono d’accordo con tutto quello che hai scritto. Con la sola aggiunta che con Shutter Island il gioco di Scorsese è talmente sbagliato e scoperto da rendere evidente che si basa sulla carne e il sangue e lo sporco e la pellicola imbevuta di oscurità. Quello che ho scritto non era per niente assolutorio. Volevo solo cercare di capire. Fino ad Al di là della vita in Scorsese c’era dell’altro, c’era il trascendente, che poteva essere l’ossessione religiosa o quella del denaro. Questa volta non è riuscito a universalizzare il discorso, che diventa privo di utilità e rende scoperto il lato debole di questo suo nuovo cinema.
    Per me è una questione di linguaggio, di estetica, ne ho visto troppo di cinema in questi anni per non arrivare a pensare che l’evoluzione passa da lì e solo da lì. Altrimenti ogni volta che un regista vuole fare qualcosa di buono si limita a farla stretta stretta, come avrebbe detto il nostro amico Bernardo, e tutti diciamo che è bello perché ricorda Bresson (vedi Diritti).
    Ne riparleremo…

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  4. Anche io sono d'accordo con quello che dici. Secondo me Shutter Island, che ripeto non è un film riuscito, ha qualche apertura e suggestione che ho trovato interessante (vedi il discorso sui campi per esempio) e del tutto inedito nello scorsese precedente. Secondo me il nostro ha esaurito il suo discorso (tematico e linguistico) con Casinò e da allora cerca disperatamente nuove strade. E anche shutter island si inserisce in questa dinamica di ricerca (c'è per esempio secondo me, tra faro e mare, tanto hitchcock come mai prima in Scorsie).
    Sul discorso linguaggio forse non è qui il caso, mi sembra che però si confonda a volte (e la critica da sempre ci casca) la tecnica con lo stile o ancora peggio con la poetica.
    Sullo stretto sretto a me pare che ci siamo in pieno: oggi il cinema d'autore è proprio quel tipo di linguaggio e solo quello. Il che è tristemente omologante, oltre che una vera e propria contraddizione in termini...

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  5. Sulla questione tecnica. Prendi Il nastro bianco: grande film girato in digitale come avrebbe potuto girarlo in pellicola uno come Dreyer o Bergman. Michael Mann, invece, prova a fare davvero quello che dici tu: prende la tecnica e prova a tirarne fuori una nuova poetica. Per questo motivo mi sembra che Nemico pubblico sia davvero l'unico film del futuro che per ora ci è capitato di vedere.

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  6. Ecco, è proprio questo il punto. Il nastro bianco è un film di haneke al mille per cento: un gelido apologo morale in cui si gioca con le convenzioni (sembra un adattamento letterario di un libro del primo novecento ed è invece originale). Non c'è nulla della passione di bergman per l'uomo e per i dilemmi morali. Anche nemico pubblico è un grande film per i motivi per cui sono grandi tutti gli altri film di mann: è l'unico, oggi, tra postpostmodernità e l'ironico non prendersi mai sul serio, che crede ed è in grado di costruire e creare dell'Epica sull'uomo e il mondo.
    Quello che voglio dire è che non capisco cosa aggiunge a questi film il digitale: l'ingrediente fondamentale rimane uno stile e una poetica ormai formata di due artisti che oggi usano una tecnica nuova. Che rimane quello, una tecnica grazie alla quale aggiungono un nuovo capitolo alla loro opera.

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  7. Van Diemen's Land in concorso all'ultimo TFF, in pellicola, anche lì un'isola, viratissimo, contrastato e pesante, come Shutter, in tensione per buona parte del suo sviluppo, come Shutter. Poi una caduta e una lunga parte ridondante. Sceneggiature che mi ricordano la terribile sensazione dello sbadiglio che non si riesce a concludere (da piccolo pensavo che si potesse morire per uno sbadiglio abortito).

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  8. Non ho visto Van Diemen's Land, ma dai trailer e da quello che ne ho letto è facile capire il tono cupo e funesto della fotografia. Come Valhalla Rising di Refn e naturalmente come Shutter, che ha nella sua fotografia bluastra proprio il suo difetto (per me) più doloroso: come una pubblicità, come un eccesso stilistico che non è giustificato da nient'altro che non la propria visibilità. Pubblicità, per l'appunto.

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