giovedì 16 giugno 2011

Regista, architetto, scrittore

A quasi tre mesi dall'uscita italiana, Libertà di Jonathan Franzen è ancora un caso letterario: il sito di Einaudi lo mette sempre tra i cinque titoli più richiesti e nella classifica dei 100 libri più venduti su Ibs viene al 31° posto dopo essere stato per parecchio tra i primi 25. Non so con certezza se questi siano dati significativi, ma essendo quello di Franzen un romanzo "difficile e impegnato", come direbbe la mia vicina di casa, credo sia un caso abbastanza raro nella recente editoria di casa nostra. La ragione è perché l'hanno pubblicizzato a non finire, con sta maledetta dendroica cerulea usata come esca narrativa ("ma che cazzo c'entrerà un uccellino con Jonathan Franzen?", si chiede il lettore ignaro...); perché da noi è arrivato sull'onda di un successo ancora più in grande in patria; e naturalmente perché Franzen è un grande scrittore e con Libertà ha scritto il suo romanzo più complesso e al tempo stesso leggibile. C'è poco da girarci intorno - e chi l'ha letto lo capisce dopo cinquanta pagine (e chi lo odia lo odia per la stessa ragione): il talento infinito sta proprio nella capacità di nascondere la complessità del romanzo dietro la sua forma elementare; nella costruzione accurata, inattaccabile di una tela gigantesca che prova a contenere il mondo intero. Libertà è come un film di Polanski, uno a caso, o se vogliamo scendere nello specifico come il suo ultimo, meraviglioso L'uomo nell'ombra. Perché Polanski è un regista nel pieno controllo della forma espressiva, sempre capace di insinuare in costruzioni perfette e narrativamente impeccabili riferimenti fulminanti sull'attualità e sull'universalità del comportamento umano. E Franzen opera nella stessa maniera, semplicemente sostituendo il thriller con il melodramma.

Libertà è un romanzo perfetto (così perfetto, anzi, da lasciare ammirati e non innamorati), una macchina di emozioni e implicazioni perfettamente cucita sul corpo dei suoi personaggi, che sono quattro in tutto e sono espressioni credibili, complesse, umanissime di stati psichici puri, ciascuno con le proprie aspirazioni, i propri errori, anche le proprie banalità, ma soprattutto ciascuno con le proprie legittime motivazioni per agire come agisce e pretendere quello che pretende. Ogni cosa cozza contro le altre e ogni cosa ha il suo senso. La libertà di uno è la gabbia dell'altro e la cosa stupefacente è che questo semplice meccanismo umano funziona soprattutto a livello narrativo.

Libertà
è come un Harmony di gran classe, intelligente e consapevole: e tanto per essere chiari, questo è un complimento pieno di ammirazione. Una storia di amore e di tradimento, di redenzione e di rimpianto, che funziona perché il suo autore la costruisce frase per frase, blocco per blocco, personaggio per personaggio, come un grattacielo che all'esterno non mostra niente di particolare ma al suo interno nasconde piani perfettamente funzionali o, meglio ancora, una costruzione che si basa su un'armatura incrollabile, architettonicamente perfetta.

Franzen lavora come un regista e come un architetto: prende degli uomini e li mette in uno spazio. Ricordandosi poi di essere uno scrittore, e più ancora un narratore, ne racconta la storia e la trasforma in qualcosa di universalmente riconoscibile e umanamente condivisibile. Sembra semplice, non credo lo sia.

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